Il Rapporto Annuale Istat ricostruisce le classi sociali: disgregate le vecchie classi sociali, le differenze sono acuite da una distribuzione dei redditi che penalizza gli stranieri e le famiglie con figli. Pesa anche la scomparsa delle professioni intermedie, cresce soprattutto l’occupazione a bassa qualificazione. In stato di povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 70% degli undern35 vive ancora con i genitori.
(a cura di Francesca Lagoteta)
Non esiste più la classe operaia, si fa fatica a rintracciare il ceto medio, e sempre di più nelle famiglie italiane la “persona di riferimento” è un anziano, magari pensionato. Nel Rapporto Annuale 2017 l’Istat prova a ricostruire la società italiana e a tracciare i connotati delle nuove classi sociali: molto è cambiato ma molto si è cristallizzato. La disuguaglianza aumenta e non è legata a ragioni antiche, al censo, ai beni ereditati, ma in gran parte ai redditi, e in buona parte anche alle pensioni. Da opportunità nascono opportunità: i figli della classe dirigente diventano classe dirigente, i figli dei laureati diventano laureati, gli altri lasciano la scuola giovani. La classe impiegatizia si arricchisce con le attività culturali, le famiglie a basso reddito guardano la tv. Il lavoro si polarizza: scompaiono le professioni intermedie, aumenta l’occupazione nelle professioni non qualificate, si riducono operai e artigiani. E nella classe media impiegatizia le donne giocano un ruolo importante: nonostante nel complesso il tasso di occupazione femminile sia più basso di 18 punti rispetto a quello maschile, in 4 casi su 10 le donne sono i principali percettori di reddito, e dunque con una quota maggiore rispetto agli altri gruppi della popolazione.