(a cura di Francesca Lagoteta)
In un mondo del lavoro in continua evoluzione e che risente ancora dei postumi della crisi economica si fa largo una nuova figura aziendale addetta al benessere dei clienti, una sorta di “Manager della felicità”. Questa figura è già una realtà degli Stati Uniti, dove è chiamato Chief Happiness Officer, e a poco a poco sta arrivando anche in Italia.
Il suo compito è quello di monitorare il benessere dei dipendenti e di capire se siano soddisfatti o meno del posto dove lavorano. Oggi infatti, dove il posto fisso è praticamente una chimera, anche i dipendenti migliori che percepiscono un buono stipendio hanno sempre un orecchio proteso a nuove offerte di lavoro. Così le aziende, per cercare di tutelare in primis se stesse e poi le proprie figure di spicco, cercano di creare con i propri dipendenti una migliore sintonia in termini di benessere e felicità.
Compito del “Manager della felicità” è quello di interpretare i bisogni dei dipendenti, valutare la loro soddisfazione personale e professionale, per migliorarla e trattenerli così nel team. Una sorta di psicologo aziendale che non guarda al mero profitto ma alla soddisfazione dei dipendenti. Deve per esempio ottimizzare gli spazi di lavoro, andare incontro alle esigenze dei dipendenti, deve in sintesi rendere la quotidianità lavorativa migliore: si pensi a spazi comuni con flipper, biliardino, palestra o lavanderia aziendale, addirittura a un vero e proprio servizio di counseling al quale il dipendente può liberamente accedere. Tutti servizi aggiuntivi mirati al benessere dei lavoratori.